DENTI

Wäre Pier Paolo Pasolini ein Filmemacher der Generation Quentin Tarantino oder Sam Mendes, also ein angesagter, vielleicht populärer und auch intellektueller Regisseur unserer Zeit, hätte er wohl seine liebe Not im Casting seine Schauspieler, seine Charaktere, seine Gesichter zu finden. Nicht wegen der schauspielerischen Qualität oder aus Ermangelung an Laiendarstellern, sondern schlicht wegen unser aller angepasster Physiognomie, die im modernen westlichen Leben unsere Optik beherrscht und die im Medium Film sogar überperfektioniert sein will. Pasolinis Filmwelten dagegen lebten und leben immer noch wahrhaftig von einer realen und nahezu unverdorbenen Erscheinung von Menschen.

Die Darsteller, meist Laien, scheinen gerade wegen ihrer vom Leben gezeichneten Gesichter für Pasolinis persönliche Interpretation des Vangelo secondo Matteo am besten geeignet gewesen zu sein. Die Münder stehen offen und offenbaren schlecht gewachsene Zähne, Reihen mit Lücken, unperfekt, aber natürlich und unverfälscht →Humile. Einen der Hohepriester zeigt der Regisseur mit seinen krummen Zähnen – und gerade deshalb als so markante Erscheinung – in all seiner Erhabenheit und Würde →Disgraziato. Pasolini geht nicht darüber hinweg, er nützt dieses Bild, was eine Verflechtung von Authentizität, Unverdorbenheit und Purheit in sich trägt, und lässt die Kamera sogar in Großaufnahme darauf verweilen. Es sind die äußeren Zeichen, die Pasolinis Figuren tragen, die zeigen, dass in ihrem Leben Dinge passiert sind, die sie im Gesicht mit naivem, aber starkem Ausdruck geprägt haben →Dizionario.

In seiner Divina mimesis beschreibt er die Arbeiter in ihrer festlichen Kleidung und eben wieder das Gesicht eines Zahnlosen (sdentato), der kindlich den Mund öffnet und „traditionsverbunden“ lächelt. Pasolini zieht damit kein lächerliches oder herabschauendes Element heraus, ganz im Gegenteil: Er nutzt diese physiognomischen Merkmale als wichtigen und charakteristischen Effekt, um dem Zuschauer zu zeigen: dies ist echt, und deshalb auch eine Wahrheit.



Eva Kaesbauer

Filmstill: „Priester“ in Pier Paolo Pasolini Il vangelo secondo Matteo (1964)


DENTI

Se Pasolini fosse un cineasta della generazione di Quentin Tarantino o di Sam Mendes, dunque un regista alla moda forse anche popolare e intellettuale, dovrebbe certamente darsi molto da fare per trovare i suoi attori, i suoi personaggi, i volti dei suoi film. Questo non a causa delle qualità attoriali o per una mancanza di attori dilettanti, bensì semplicemente a causa della fisionomia omologata che nella vita dell’Occidente moderno domina il nostro modo di vedere le cose e che nei film tende a superare l’idea di perfezione. I mondi dei film pasoliniani vivevano e vivono ancora, al contrario, di una visione reale e quasi pura dell’uomo.

Questi rappresentanti, per lo più dilettanti, proprio per i loro volti segnati dalla vita, sembrano essere stati particolarmente adatti per l’interpretazione del film di Pasolini Il vangelo secondo Matteo. Le bocche restano aperte e mostrano dei denti cresciuti male, con file di buchi, imperfette ma naturali e non false →Humile. Uno dei sacerdoti è inquadrato con i suoi denti storti – e proprio per questo una apparizione degna di nota – e in tutta la sua dignità, nel suo essere sublime →Disgraziato. Pasolini non ignora questo aspetto e usa questa immagine che reca in sé autenticità, pulizia e purezza, e fa soffermare la camera persino su un suo primo piano. Sono i segni esteriori, che le figure di Pasolini portano, che mostrano quanto nella loro vita sia accaduto. Questi segni hanno marchiato il loro volto con un’espressione ingenua ma anche forte →Dizionario.

Nella Divina mimesis Pasolini descrive i lavoratori vestiti a festa ed ecco comparire di nuovo il viso di uno sdentato che apre la bocca come un bambino, mentre ride come da tradizione. L’intento di Pasolini non è quello di deridere questi elementi. Al contrario utilizza proprio queste caratteristiche fisiognomiche come effetto precipuo e caratteristico, per mostrare allo spettatore ciò che è vero e dunque anche verità.



Eva Kaesbauer